Per questo mi chiamo Giovanni

Il libro che racconta la vita di Giovanni Falcone



Premessa

Lo scopo di questo post è quello di illustrare i passaggi compiuti per la realizzazione del mio lavoro. Il progetto consiste nel raccontare la vita di Giovanni Falcone, attraverso il racconto del libro "Per questo mi chiamo Giovanni", di cui ho letto, alcuni capitoli, con la professoressa e i miei compagni. Questo, in merito, al mese in cui abbiamo deciso di affrontare il tema della "mafia", in classe.

Le fonti che ho consultato per realizzare il post sono:
- Il libro "Per questo mi chiamo Giovanni" di Luigi Garlando

Il narratore è Giovanni, un bimbo di 10 anni che racconta una giornata speciale con il padre, durante la quale il genitore gli racconterà la storia di un illustre palermitano Giovanni Falcone, della sua vita e della sua morte.

Gli anni della gioventù. Da ragazzo qualsiasi a personaggio

Il giorno del decimo compleanno di Giovanni, il padre gli offre di fare una gita per la città di Palermo e di spiegargli il motivo del suo nome. Arrivati a Mondello fanno il bagno al mare e, mentre si riposano sulla spiaggia, Luigi spiega a Giovanni di portare il nome di un grande uomo, un magistrato che ha combattuto la mafia: Giovanni Falcone. Costui, è morto proprio il giorno in cui è nato il bambino, perciò il padre decide di chiamarlo col suo stesso nome per omaggiare il coraggio tenuto in vita.

Il legame tra il padre di Giovanni e Cosa Nostra

Dopo aver saputo l'origine del suo nome, Giovanni chiede al padre che cosa sia con esattezza la mafia. Luigi inizia, così, la sua spiegazione. La parola "mafia", compare per la prima volta nel 1868, con il significato di "prepotente" e "miseria". Luigi, per essere più chiaro, la paragona metaforicamente ad una cosca, la testa del carciofo, dove tutte le foglie esterne, che contano poco o niente, sono i cosiddetti "picciotti". Il fulcro ed il cuore dell'organizzazione, invece, è detto "boss". Ogni foglia, è una famiglia mafiosa, che impone la propria legge ingiusta su un quartiere della città, e a volte, può arrivare anche in posti impensabili, come i tribunali. Il padre di Giovanni confessa al figlio, che anche lui è stato vittima della mafia, attraverso il pagamento del "pizzo", una forma di estorsione di denaro, da parte delle organizzazioni criminali, alle attività commerciali e artigianali. Per far sì che il figlio capisca chiaramente con quale atrocità agisce la mafia, gli narra della storia di Giuseppe di Matteo, bambino di poco più di 13 anni, che venne rapito e tenuto prigioniero per due anni, successivamente, ucciso e sciolto nell'acido per non lasciarne alcuna traccia. L'unica colpa di questo bambino, era quella di essere figlio di un pentito e collaboratore di giustizia, che aveva rivelato troppe informazioni sulla strage di Capaci. Luigi continua dicendo, che dopo l'attentato di "Cosa Nostra" e la morte di Giovanni Falcone a Capaci, decide di non cedere più alla prepotenza del "mostro" e denuncia i suoi estorsori. La mafia risponde facendo saltare in aria il negozio di giocattoli che gestiva, ma, fortunatamente, Luigi non si trovava al suo interno al momento dell'attentato. L'unico pupazzo rimasto intatto è uno scimpanzé con le zampe bruciate, proprio quello preferito dal figlio Giovanni. Dopo questo racconto, il bambino, prova ammirazione per il coraggio e gli ideali tenuti dal magistrato Falcone, così capisce che nel suo piccolo, anche lui, può fare la differenza e non far prevalere la legge del più forte. Infatti, a scuola, c'è questo bullo, Tonio, che costringe i compagni a consegnargli tutti i soldi delle loro paghette, nessuno, però, lo denuncia per paura. Chi si rifiuta, come Simone, che si ritrova catapultato giù dalle scale e con un braccio rotto, viene punito. Proprio per questo, Giovanni decide di denunciare il bullo alla maestra, ci guadagna un occhio nero, ma anche l'amicizia di Simone e la giustizia per tutta la classe. 

Rituali



Per far si che i cosiddetti "picciotti" entrino a far parte della famiglia mafiosa, essi, devono compiere un giuramento di sangue. Il giuramento consiste nel versare qualche goccia del proprio sangue su un santino e tenerlo in mano mentre viene bruciato. Dopodiché, questi, verranno considerati come "uomini d'onore".
"Pentiti", così vengono chiamati i mafiosi che, quando vengono catturati dalle forze dell'ordine, decidono di collaborare con la polizia e denunciare altri boss e i clan di famiglie mafiose, per alleviare la propria fedina penale. Un giorno, Giovanni Falcone, si ritrova ad interrogare proprio uno di loro. Questo, è Tommaso Buscetta, detto don Masino, quello con cui da piccolo aveva giocato insieme all'oratorio. All'uomo sono stati rapiti i figli e uccisi molti famigliari dalla cosca di Corleone; proprio per questo, i magistrati sanno che toccando i sentimenti del pentito, arriveranno ad estirpare il cuore del carciofo. Così accadde, l'8 novembre del 1985 furono depositate seicentomila pagine di prove: 474 uomini d'onore dovranno presentarsi in tribunale per difendersi dall'accusa di mafia. Poi arriva la grande vittoria. L'11 febbraio del 1986, cominciò il Maxiprocesso di Palermo, nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone, preparata per l'occasione, con 210 facce di mafiosi dentro 30 gabbie. Dopo quasi due anni ecco la sentenza: il mostro è colpevole e deve scontare diciannove ergastoli, 2665 anni di carcere e pagare una multa di più di 11 miliardi e mezzo.

Conclusioni

Devo dire che svolgere questo lavoro è stato molto stimolante e costruttivo, perché mi ha portata ad interessarmi e a conoscere un po' di più la storia contemporanea italiana, che precedentemente non era così chiara per me. La parte che ho preferito svolgere, è sicuramente, la ricerca delle fonti e delle testate giornalistiche che riportassero le informazioni inerenti alla storia del magistrato dell'antimafia, Giovanni Falcone, e al romanzo di Luigi Garlando, "Per questo mi chiamo Giovanni ". Avevo dei ricordi delle pagine che avevamo esaminato in classe, ma rileggere i capitoli per conto mio, è stato toccante e intimo, non solo per il rapporto tra padre e figlio, descritto in modo semplice ma diretto dalle parole del libro, ma anche per il modo in cui lo scrittore è stato capace di trascinarmi a fondo nella vita quotidiana e nella mentalità della gente dell'Italia del sud. Ciò che mi ha lasciato il segno, di questo libro, è il velo di malinconia e di orgoglio con cui Luigi racconta della sua terra, senza tralasciarne i problemi e i difetti, raccontando di una storia che sembra lontana, ma che in realtà, è più attuale che mai. Ho apprezzato gli insegnamenti che vengono trasmessi a Giovanni, attraverso il racconto della vita reale di persone, senza censure o limitazioni, ma anzi, incoraggiandolo a non avere paura di lottare per i suoi diritti e di ottenere giustizia, per sé stesso e per gli altri. Alla fine del libro, mi è sembrato riconoscere un atto di fede nel giovane Giovanni, verso ideali più importanti. Un chiaro messaggio di speranza per una vita libera e dignitosa per tutti i cittadini del sud e delle future generazioni. Questo post ha richiesto due giorni di lavorazione per essere completato.