Herself - La vita che verrà


Introduzione

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e per questa occasione, insieme alla mia classe, siamo andati alla proiezione del film "Herself-La vita che verrà". Ad organizzare questo incontro, sono state, oltre il comune di Mantova, anche le psicologhe e psicoterapeute, Dott.ssa Lucia Battaggia e Dott.ssa Nadia Mortara, consulenti del telefono rosa di Mantova e l'avvocata Paola Mari, presidente del telefono rosa di Mantova.

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre è stata istituita la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per volontà delle Nazioni Unite, perché essa è «una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano». La violenza si può manifestare in molti modi: vi è la violenza psicologica, che spesso è considerata meno rilevante a quella fisica perché non lascia segni visibili, nonostante possa causare gravi traumi permanenti nelle donne che la subiscono. Anche lo stalking e le continue minacce di aggressione sono violenze che, purtroppo, nella maggior parte dei casi diventano femminicidi. La motivazione per cui è stata scelta proprio questa data, è per onorare la memoria delle sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, che il 25 novembre del 1960, sono state condannate a morte dal dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, sono state rapite e portate in un luogo nascosto nelle vicinanze, sono state stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Nel 1991, il Center for Global Leadership of Women (CWGL) avviò la Campagna dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, proponendo attività dal 25 novembre al 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani. Se oggi si parla di questa terribile piaga che infesta la nostra società, lo dobbiamo alle attiviste latinoamericane e a quelle di tutto il mondo, che hanno lottato e lottano tutt'oggi, per assicurare alle future generazioni di donne, i diritti fondamentali alla libertà, all'uguaglianza e alla felicità.

Il film

"La vita che verrà - Herself", film diretto da Phyllida Lloyd, racconta la storia di Sandra (Clare Dunne), una giovane donna e madre, che dopo l'ennesima aggressione domestica, decide di fuggire con le sue figlie da un marito violento. Come se non bastasse, oltre a dover portare le sue bambine alle visite con l'ex, si ritrova a lottare anche contro un sistema abitativo corrotto, che non le permette di mantenere un alloggio stabile e adatto ai suoi figli. La società su cui credeva di poter contare sembra non aiutarla affatto e, dopo anni trascorsi a subire, ora che finalmente ha trovato il coraggio di cambiare la sua vita, sembra impossibilitata a farlo. A questo punto, Sandra decide di costruire una casa da zero, per se stessa e per garantire alle figlie un posto sicuro e colmo d'amore dove poter crescere. Naturalmente la tensione è sempre alta, il pericolo sempre in agguato, perché non ci si libera facilmente da chi pretende di possedere un'altra persona, ma con l'aiuto della sua datrice di lavoro, che le presta i soldi e il terreno per la costruzione della casa, e ad un gruppo di volontari che in seguito diventeranno i suoi nuovi amici, riesce nell'impresa. Il film si conclude con un messaggio di speranza, seppur con una nota amara.

Riflessioni

Sandra si mette in tasca l'amore e la nostalgia, nel senso che se li porta appresso, ma non apre più quella tasca, non spera di cambiare il suo uomo e non è disposta a correre nessun altro rischio, soprattutto con delle bambine a cui badare. Ciò che rende questo film unico nel suo genere, è la capacità di raccontare la storia di una donna vittima di violenza, non basandosi esclusivamente sul trauma e rendendola solo la povera vittima indifesa, bensì, raccontando del suo processo di guarigione e di rinascita, tra alti e bassi. Si punta tutto sul concetto di costruzione, incidenti di percorso compresi, anziché sulla cronaca di una demolizione. La scena che mi ha toccata maggiormente, non parla della violenza fisica che subisce Sandra dal marito, bensì, della violenza collettiva e dei pregiudizi che le sono continuamente rinfacciati in tribunale. Quando, nella scena, si sta affrontando il racconto delle violenze subite, la prima cosa che il giudice le chiede è: "Se non era la prima volta che suo marito compiva atti estremi, perché non se n'è andata prima?". Questa frase, purtroppo, è chiesta anche nei tribunali reali di tutto il mondo e ciò che è peggio, è che quando viene posta, mette automaticamente in cattiva luce la donna, perché in un certo senso, tenta di farla sentire in colpa per aver continuato a stare con chi le faceva del male, quando sappiamo bene che scappare da una situazione simile, può essere davvero arduo. Solitamente quando viene fatto questo quesito, la maggior parte delle donne resta in silenzio, perché, effettivamente, come puoi rispondere a una domanda illecita di cui nemmeno tu sai la risposta e soprattutto che ti fa sentire a disagio, dalla parte del torto, anche se sai di non avere colpe per le botte ricevute. Sandra, però, si da tempo di riflettere e con la sua risposta abbatte i pregiudizi sociali che la domanda comporta. Infatti dice: "Mi ponga la giusta domanda signor giudice, e soprattutto, chieda a lui perché non ha smesso".
 

Conclusione

Dopo la visione del film siamo passati ad un confronto con le Dott.sse Lucia Battaggia, Nadia Mortara e l'avvocata Paola Mari e oltre ad approfondire le tematiche del film, abbiamo anche parlato delle loro esperienze vissute al centralino del telefono rosa di Mantova e cercando di analizzare la mente di una donna vittima di violenza, ne abbiamo discusso sia sul lato psicologico che emotivo, affrontando tematiche che spesso non vengono rivelate quando si parla di una donna che tenta di uscire da una situazione di violenza. Inoltre, abbiamo avuto il privilegio di ascoltare una ragazza da poco uscita da una relazione violenta, venuta a testimoniare a favore delle donne che la subiscono, per ricordare coloro che ne sono morte e per dire alle nuove generazioni che è possibile uscirne, ma solo se prima si accetta di essere le vittime, di non avere colpe per ciò che si subisce e che non si può uscirne da sole, l'aiuto di un parente, di un amico, o ancora meglio, di persone idonee al compito, è necessario. Lei ci ha raccontato che la relazione con l'uomo violento è durata il tempo della sua gravidanza e che il periodo successivo lo ha passato tra violenze fisiche ma soprattutto psicologiche, tanto da pensare di non poter essere una buona madre per sua figlia. Infatti, il padre della neonata le faceva credere di non poterla accudire, di essere inutile a causa della sua invalidità. La pressione psicologica era talmente stressante, raccontava, da averle fatto pensare che ciò che le diceva era reale, ma grazie alle dottoresse del telefono rosa di Mantova, oggi l'uomo si trova in carcere e la ragazza e sua figlia sono libere di vivere la loro vita.